Loop
Nella quarantena non c’è un vero tempo, non c’è un vero spazio. Si svolge, si riavvolge, si stravolge in un transito oscillatorio attraverso gli stessi luoghi, gli stessi tempi, gli stessi temi.
Gli stessi odori, gli stessi sapori, le stesse facce, le stesse parole.
Ci siamo sentiti ieri o l’altro ieri?
E’ piovuto questa settimana o la precedente?
Hai aperto il microfono?
Ti sei bloccato.
Ho buttato la plastica.
Passasti lo straccio?
Ho i capelli messi un casino.
L’hai trovato il lievito?
I nostri sguardi si caricano a molla ma non saltano mai; nell’eterno ritorno di ogni mattina madida, ce li ritroviamo scarichi.
Dietro ogni angolo c’è quello che già sapevamo, grattando sotto la superficie troviamo solo altra vernice. Il tempo è un bassotto che si arrotola all’infinito, un toroide imbalsamato.
Annusa le sue stesse deiezioni per sempre.
In ogni conversazione solo quelle poche migliaia di parole:
perdiamo dettaglio, risoluzione, prossemica, densità. .
Eppure l’informazione non manca e anzi si stende come strati di tulle, uno sopra l’altro, uno sopra l’altro, uno sopra l’altro, con tutti che cercano disperatamente di dire qualcosa leggendo dagli stessi gobbi, solo con velocità e partenze diverse. Si rifrangono in un prisma di grigi, di frattaglie frattali, di echi senza rimbalzo.
E poi, e poi, e poi solo ti ritrovi comunque solo con un altro e poi. E poi pagheresti oro per un misero déjà vu e invece ti tocca solo un altro glitch.