Abbrutimento
Abbrutimento e silenzio. L’uno incastrato all’altro, a rincorrersi a vicenda. Il silenzio, fuori, causa il crescente abbrutimento dentro. Sono nata misofona, il frastuono mi stordisce. Al mattino presto il rumore della macchina del caffè al bar mi innervosisce. Non avrei mai creduto di potermi abbrutire nel silenzio, e che voci e suoni mancanti avrebbero causato l’involuzione del mio essere umana allo stato simil-animale, il pensiero rivolto alla sopravvivenza (mentale, soprattutto).
E se all’abbrutimento materiale si reagisce con la perseveranza, più profondo è quello emotivo: le persone mancano, i volti si sfocano, ti aggrappi alle video chiamate come unico simulacro di vicinanza possibile. Le voci mancano, quelle vicine, non filtrate dal telefono. Gli abbracci mancano, le carezze anche – fortunati in questo i nostri cani e gatti, che ora se li godono senza limiti. Colpisce poi, con durezza, l’estrema fragilità dei nostri agglomerati urbani, anch’essi abbrutiti, vuoti di comunità e di spazi di condivisione, privati di qualsiasi senso di collettivo che non sia legato alla solidarietà nell’emergenza. Manca la gioia di incontrarsi. Manca la leggerezza, si sente la sua assenza nell’aria frustata da sirene di ambulanze.
Da questo silenzio, una cosa sola invoco: che l’abbrutimento di prima, quello che ci spingeva a scagliarci contro gli ultimi latrando come bestie, ecco no, non torni mai più. E quando torneranno a far rumore le macchine del caffè al bar, facciamo in modo di tornare umani, senzienti e consapevoli, perché – davvero – fatti non fummo per viver come bruti.