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Wanderlust

Che sia catalogata come una malattia, o una sindrome, o un disagio poco importa. Il wanderlust è un sentimento, un’inquietudine, una fiammella di luce opaca interiore che non sfoga mai in grido di dolore ma resta appesa all’anima, un soffio di forza repressa: vorrei partire, esplorare, conoscere “altro” ma non posso. Come la saudade brasiliana, una nostalgia profonda di muoversi e viaggiare.

Letteralmente wanderlust non è solo un desiderio, ma un impulso che a volte diventa irresistibile e se non viene lasciato sfogare può avere forti ripercussioni sul nostro stato d’animo. La malattia del viaggio di chi è impossibilitato a farlo è diventata socialmente esplosiva durante questo anno pandemico, dove milioni di persone abituate a prendere treni, aerei e automobili solo per passare un weekend a 3000 km da casa o per una trascurabile riunione si sono ritrovate a girare attorno all’isolato, come belve feroci chiuse nello zoo, sognando la savana. Cattività ed orizzonti limitati, fame di jetlag ed endorfine.

Che poi se ci pensate bene, wanderlust è una bellissima crasi fonetica fra meraviglia (wonder) e lussuria (lust): il lusso della meraviglia, quella che a volte ci potevamo concedere e adesso non più, e chissà per quanto. Potrebbe anche chiamarsi wonder-last, l’ultima meraviglia ormai datata di quel viaggio che abbiamo fatto prima del Covid, oppure wonder-lost, la meraviglia perduta forse per sempre, in un mondo ormai troppo ipocondriaco che ci accoglie in questo nuovo tempo dagli orizzonti corti e dalle paure globali.

Coscienti di essere irrimediabilmente caminantes sin camino, porque el camino se hace al andar…

- Jonathan FerramolaTerra di Tutti Film Festival