V.

Voce

Forte e morbida, incisiva e delicata, la voce è l’àncora cui ci aggrappiamo in questo limbo nel quale lo spazio e il tempo si ridisegnano. Facevamo troppo rumore, forse. Suoni che hanno cercato, per troppo tempo, di dare valore a idee deboli con il volume alto: dire nulla, ma dirlo forte.

Primigenia e fertile, è al principio di ogni cosa per tutte le religioni. Ogni tanto è respiro e ritmo, altre volte è risata e sfogo. La voce è il veicolo del nostro bisogno di empatia, di tenere vivo il filo che ci lega a vicini di casa da tenere a distanza, a visi da ricordare dietro il bianco della mascherina.

È l’appiglio che cerchiamo durante le lunghe sessioni digitali che raccolgono icone, ogni tanto facce, ma che finirebbero per imballarsi se ciascuno tenesse il proprio microfono attivo. Così ogni tanto emerge da un reticolo immaginario e ci conforta: come se facessimo le prove per quando ci incontreremo di nuovo.

In Messico dicono: fai che la tua ciotola non sia mai piena delle cose belle che non hai detto. Ecco, la voce ci permette di essere gentili, e diventa lo strumento musicale delle nostre carezze. E ci invita a usarla con parsimonia, preziosa e importante com’è in un reticolo di scambi e legami inediti.

Ricordiamocelo, quando tutto questo sarà finito. Saremo diversi, più consapevoli e – speriamo – più responsabili. Ci accompagnerà più amichevolmente nei musei, nei teatri, nei siti archeologici e nelle gallerie d’arte contemporanea, con il valore della nostra identità complessa.

- Michele Trimarchi