U.

Utopia

Letteralmente, οὐ «non» e τόπος «luogo»: non luogo. Non quello reso famoso da Marc Augé nel 1992 – uno spazio anonimo, costruito dagli uomini per un fine specifico, ma privo di identità. Al contrario, l’utopia è un luogo che non esiste perché, come si suol dire, troppo bello per essere vero. Un modello ideale, che può essere condiviso oppure personale, fortemente propositivo o puramente critico verso lo status quo. Ognuno, insomma, ha l’utopia che si merita.

Oggi, per molti questa isola che non c’è ha semplicemente i tratti di un mondo normale: senza pandemie, così come lo conoscevamo prima. Un mondo senza la conta quotidiana dei morti “con” o “per”, senza gli ospedali da campo e le rassegne stampa della Protezione Civile, però comunque pieno di ingiustizia e di violenza, con i telegiornali che snocciolano ogni sera il solito rosario laico di notizie banali e terribili. Dove ci sono quelli che se la passano bene, poi sotto quelli che se la passano benino, e via sempre più giù fino alla massa anonima dei disgraziati di cui non importa niente a (quasi) nessuno. La normalità come un grattacielo, la cui cantina – secondo Max Horkheimer – è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, e che dalle finestre dei piani superiori (ma solo da quelle) assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato. 

Molti altri, invece, aspirano a un «non luogo» diverso, che approfitta della crisi (che ormai sembra andare aventi ininterrottamente dall’11-09-2001) per acquisire una nuova forma, e anche una nuova sostanza. Un’utopia che ritorna alle proprie origini filosofiche, il Tommaso Moro del 1516, per fare i conti con il passato e dare una nuova possibilità al futuro. Non solo al futuro di chi se la passa bene, ma anche a quello degli altri. Perché se è vero che l’utopia non può essere una sola, che ciascuno la desidera a sua immagine e somiglianza, speriamo almeno che – quando tutto questo sarà passato e non aspetteremo più con ansia e trepidazione il bollettino delle 18.00 – la normalità non sarà più come quella di prima. 

Speriamo che l’utopia non si ribalti nel suo opposto, la distopia che ha ispirato molti narratori, dando vita a opere d’arte indimenticabili, ma che io, personalmente, non vorrei mai vivere. 

- Filippo Marano