Udito
Non è un organo, è una facoltà.
Spesso udire sembra un’azione remota, meno precisa della vista, che invece ci sembra sempre sotto il nostro volere. Possiamo puntare gli occhi verso un oggetto per puntare la nostra vista. Possiamo chiudere gli occhi per proteggerci da troppa luce.
Ma le nostre orecchie non hanno palpebre.
L’udito non appartiene alla volontà ed è infaticabile. Potremmo immaginarlo come un bracciante in un campo di diverse culture che raccoglie tutte le piante che incontra. E se incontra il silenzio, lo percorre come un pellegrino che attraversa il deserto in cerca di acqua.
Ricordo quando ho attraversato il parco Ferrari a Modena per la prima volta con mio padre. Mi raccontò, con grande passione, come il silenzio del parco, non esistesse negli anni settanta quando lui arrivò dal sud.
Lì, esattamente nello stesso luogo di pace e silenzio, si ergeva un grande tempio ai motori e alla velocità. Mi parlò nel dettaglio delle macchine da gara nell’autodromo e degli aerei acrobatici che atterravano in mezzo alla pista. Mentre attraversava il silenzio del parco, lui sentiva il rombo degli aerei, il ruggito dei motori e le esplosioni di applausi.
Udito, memoria ed immaginazione si sfuocavano, come un effetto fatamorgana.
Ciò che non era più, nasceva di nuovo dal silenzio.