Stare
Non ci era successo mai di stare, così. Fermi quasi come pietre, come animali nel letargo, alberi nell’estate. Dentro le mura di casa prima, forse poi dentro le quattro pareti di una stanza. Per il molto tempo del seme. Non ci è stato possibile scappare, l’uscita di sicurezza bloccata, l’antipanico disattivato. Reclusi dentro l’inganno perfetto delle nostre case, non avevamo mai visto prima quanto fosse stretto il nostro abitare. Siamo stati, perché i confini si sono fatti duri, le linee sulle mappe calcate in grassetto. Per i più fortunati c’è stato il sollievo di un balcone, di un giardino, di un affaccio sul fuori. Per altri, un raggio di sole dalla finestra. Per altri ancora nemmeno quello. Siamo stati, perché forse è da tempo che non ci stavamo, nello stare. “Stare’’ che più lo dici, più sembra un verbo all’attivo, transitivo, agente, creativo. Un infinito che si fa presente. Abbiamo tracciato con dita silenziose le faglie delle nostre fragilità, crepe del nostro essere, che credevamo tutto intero. Siamo stati nel soffrire, abbiamo allungato le mani, ma i nostri padri non erano già più lì. Siamo stati nella distanza da chi prima era ‘il più vicino’ e abbiamo sentito che ogni abbraccio è sempre stato un miracoloso nascere di spazio. Nella candida nera rassegnazione dell’obbligato qui e ora, abbiamo a volte trovato una comoda forma dove riposare, un nido fresco di paglie per i nostri desideri.