S.

Spazio

Dal latino, forse derivato dal verbo patere, “essere aperto”. 

Tra le declinazioni possibili di spazio, quello urbano degli ultimi mesi ci ha messo di fronte a uno di quei momenti in cui la vita inizia a imitare l’Arte, o in cui l’Arte costringe se stessa all’interpretazione della Realtà. Se le tavole rinascimentali della Città Ideale, nel sottrare l’umano, sprigionarono la potenza del rigore geometrico di uno spazio metafisico; lo svuotamento degli spazi antropizzati di oggi ci ha condotto piuttosto verso uno straniamento nel contemplare uno spazio tangibilmente vuoto. La rimozione delle persone è sempre un efficace strumento estetico per rivelare l’ordine nascosto delle cose. Il disagio che si prova nel contemplare i luoghi della quotidianità svuotati di chi ci è estraneo – il passante – traducono, però, l’atavica fiducia che nutriamo in loro nel configurare ciò che identifichiamo come spazio pubblico. Sottraendo gli sconosciuti dallo spazio, questo diventa improvvisamente inquietante, sterile. Nessuna idea di comunità a venire è più possibile. E nella necessità dell’esserci prossimi penso alla bolla di sapone: la più piccola area di superficie tesa tra due punti. O due confini.

- Pierfabrizio Paradiso Lessico del VillaggioOvestLab / Periferico / MOP-Modena Ovest Pavillion