Spaesi
Tanti anni fa, giocando con le parole, Gianni Rodari immaginò un Paese con l’esse davanti: un paese dove gli “stemperini” facevano ricrescere le matite anziché consumarle, dove c’erano “staccapanni” con tanti cappotti e giacche per chi ne aveva bisogno e “scannoni” e “strombe” per disfare la guerra. È un esempio che da corpo all’idea che la fantasia non è una via di fuga dal mondo, ma un modo per dar senso alla realtà, per immaginarla differente.
Anche il nostro oggi è un Paese con l’esse davanti: un po’ sospeso e un po’ a soqquadro. Siamo costretti a stare chiusi “dentro”, mentre i luoghi delle nostre abitudini cambiano fisionomia perché si svuotano della nostra presenza.
Spaesi è una parola “fantastica”. Gli Spaesi entrano tramite finestre virtuali che servono a restare in contatto tra noi, finestre della memoria per tornare a quegli spazi che abbiamo abbandonato: scuole, luoghi di lavoro, piazze, borghi, strade, giardini, mare e montagna, paesaggi e cieli. Spaesi ci riporta ad una geografia della vicinanza che ci permette di riprendere i luoghi del nostro quotidiano.
Spaesi è il nostro “sasso nello stagno”«Una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca a una serie infinita di reazioni a catena coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto» e che ci ostina a pensare fuori, ai nostri territori.