Riappropriazione
Parola, forse, forte e dura per questo periodo così delicato, ma abbraccia l’ora e il poi.
“Riappropriazione” già ora, perché non è un tempo fermo questo, ha un suo ritmo e un’ andatura complessa che, a volte, ci sommerge, altre è da noi cavalcata.
Riappropriazione di quelle emozioni che avevamo sotterrato, quella cura di sé e dell’altro, fatta di ascolto e di silenzi. Riappropriazione di buone relazioni e buoni sentimenti. Riappropriazione del dolore, del senso della morte, del limite, della perdita -tutti ne stiamo assaporando l’asprezza.
Riappropriazione di buone abitudini. Quali è appropriato accogliere e mantenere poi? Quali invece vorremmo riprendere ora?
Riappropriazione degli spazi, ora quelli domestici, anche se per molti non così confortevole, per altri nemmeno presente. Quali spazi continueremo ad abitare? Quali osserviamo con occhi nuovi? Quali vorremo riavere poi? Quanto manca lo spazio naturale, lo si osserva rifiorire e riappropriarsi, senza nessun (nostro) ostacolo, di ciò di cui è stato privato.
Riappropriazione del tempo, di obiettivi e desideri, quelli del singolo e quelli di comunità.
Riappropriazione del senso del lavoro e della pausa. Riappropriazione dell’arte, troppo spesso messa da parte.
Riappropriazione della lentezza: gustiamola perché sa essere molto creativa.