Reggiseno
In attesa della riapertura dei negozi in mixed reality prendiamo tra le mani con devozione, rancore e sospetto l’oggetto che vorrebbero sostituissimo, pure lui, con l’innovazione adesiva. Perché c’è un oggetto tutto femminile nella libertà cercata dentro la quarantena, un confine sensibile del desiderio che scema o risorge: il reggiseno.
Ora ce lo propinano come evoluzione della libertà in forma di bra-tape: lo attacchi, lo stacchi, eviti il rischio del gesto fastidioso e sensualissimo della spallina che cade e che devi riposizionare. Dicono che è per “essere libere”.
Noi, per essere libere, il reggiseno lo abbiamo tolto subito, i primi giorni di quarantena. Poi, quando la stanchezza e la paura e la conta dei giorni e dei morti hanno preso il sopravvento, rimettersi il reggiseno, anche in casa, anche per uscire, ci ha aiutato a tenere dritta la schiena, a dare la forma del dovere minimo per non abbrutirci ai giorni chiusi. E quel gesto quotidiano si è fatto riflessione e finestra.
Ci siamo ricordate di altre resistenze, più dure e più necessarie: Pertini, prigioniero partigiano a Regina Coeli, che ogni notte metteva i pantaloni sotto la tavola perché la riga restasse intatta e l’ordine del vestire sottolineasse la rittura dell’uomo che non si piega, la dignità impossibile da spezzare. E c’era un abisso tra quella piega e il metterci il reggiseno: ricordarlo ci ha fatto grate e dato la calma della corretta prospettiva. Una pandemia non è una guerra: la resistenza è necessaria ma nessuno ci tortura o ci priva delle libertà fondamentali.
Ci siamo ricordate, mettendocelo per scelta, di tutte le volte che lo abbiamo infilato di furia all’alba prima di giornate infinite e abbiamo sorriso al ricordo dei vezzi, di chi ce l’ha visto, di quello per cui l’abbiamo comprato (perché pochi oggetti sono così poco neutri quando li compri e pochi sono cosi carichi di desideri, multipli e in potenza).
Abbiamo scoperto quanto è difficile, pure a volerlo fare, comprarlo on-line, perché lo specchio di un camerino in cui provi un nuovo regiseno è un momento più che un luogo in cui ci si guarda davvero e ci si riconosce, ognuna nella sua, in una forma di bellezza assoluta e indispensabile; e perché, se homo mensura omnium, la donna è pure in questo più difficile: il reggiseno, che resta l’unico capo indiviso nei guardaroba sempre più transgender, ha metriche diversissime tra paesi, tra continenti ed il point d’esprit di un reggiseno francese può farti sospirare di desiderio o di rabbia nella traslitterazione quasi impossibile della taglia italiana o di quella USA o di quella cinese in quella francese. Le tavole di corrispondenza esistono ma non sono né univoche né precise.
Immisurabile secondo uno standard unico. Come le donne ai tempi della pandemia. Nel toglierlo e nel metterlo ce lo siamo ricordate spesso del numero che salva e che può salvare mentre ti chiudi in bagno fingendo di vestirti e metterti il reggiseno, perché quando la furia del violento passa i lividi mentre ti vesti un violento non li vuole riguardare mai ed hai un’oasi di pudore che ti lascia la sua vergogna: 1522, il numero dei centri antiviolenza, che puoi digitare alla stessa velocitè con cui chiudi i gancetti o regoli la spallina. Per molte donne (il 28% di quelle che hanno chiesto aiuto non erano mai state censite dai numeri di emergenza) la pandemia ha significato violenza e lo stare a casa un incubo. Volersi mettere un reggiseno per essere quello che si è, a prescindere dal genere all’anagrafe, scatena e ha scatenato botte.
Abbiamo messo il reggiseno e ci siamo ricordate delle nonne, delle foto della loro giovinezza, dei loro consigli di seduzione; di quelle che lo sventolavano per protesta e avevano trent’anni nel Sessantotto e ora sono la fascia più a rischio. Ci siamo viste madri e lavoratrici e abbiamo capito che il reggiseno può dare una mano a sentirci sicure ma tra telelavoro e working smart, o smart working come piace di più chiamarlo, ci sono praterie che solo con politiche sempre più serie di conciliazione potremo attraversare. Ci siamo viste in frontiera, a mantenere il sorriso negli occhi, nonostante la fatica e con la carica minima di un oggetto semplice che ci tiene su il seno, nascosto tra la pelle e i vestiti, a proteggerci anche lui a suo modo, e abbiamo drizzato la schiena e abbiamo continuato ad andare.
Perché è vero che a volte un reggiseno promette più di quanto mantiene ma è molto più vero che un buon reggiseno è come la vera amicizia: difficile da trovare ma capace, come nessun altro, di tirarti su, valorizzarti, farti stare bene, anche quando è nascosto, perché è sempre nascosto vicino al cuore.