Quando
(Dalla scuola di italiano per stranieri, Reggio Emilia)
“Maestra, quando finisce?”
Non sono bambini ma a volte si esprimono come tali. Diretti, sempre.
Sono quelli che ci piaceva chiamare in tanti modi: clandestini (sbagliando), rifugiati (generalizzando), migranti (anche mio fratello in Svizzera per lavoro o ai bianchi lasciamo la parola expat?).
Sono i richiedenti asilo, che si sono lasciati alle spalle la Libia per ritrovarsi ora in Quarantena.
Che se anche nelle nostre teste aleggia un gigantesco QUANDO (quando finisce? quando torneremo a ristorante? quando torneremo a urlare ai concerti? quando torneremo a scambiarci i piatti a ristorante? quando andremo a lavoro senza la routine guantimascherinaamuchinaalcol ripetuta allo sfinimento?) nella testa di un richiedente asilo quel Quando esplode e inizia a colare dalle pareti del cervello.
Per chi ha fatto periodi di prigionia essere obbligati a stare in casa non é il massimo.
Per chi evita da anni, appositamente, il tempo per fermarsi a pensare e ricordare, bloccare ogni attività risulta quantomeno deleterio.
Per chi attende da anni il riconoscimento di documenti da parte di un paese ora in crisi dare un senso alla propria storia e al proprio percorso rasenta ora l’impossibile.
E quindi parte, su ogni piattaforma possibile, in ogni messaggio, ogni lezione su Zoom, ogni chiamata whatsapp, la litania del Quando.
E l’unica nostra arma é il sorriso tirato e pixelato che rimbalza di schermo in schermo, di telefono in telefono. Un sorriso senza mascherina che non nasconde, però, una verità inquietante: nemmeno la maestra conosce la risposta.