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Pane

Nelle case degli italiani è ritornato il pane.
Non che prima mancasse sulle tavole, ma in questi giorni è ricomparso nei forni.
Forni elettrici, a gas, a legna si riaccendono e cuociono impasti di acqua, farina e lievito che faranno compagnia (parola figlia del latino cum panis) famiglie e singoli in giorni più lenti ma buoni per fermentare. 
Se il prezzo maggiorato della farina e i panetti di lievito oramai introvabili sugli scaffali sono il contraltare economico di questo ritorno, fotografie, dirette, tutorial rappresentano la condivisione in isolamento di un bene primario (e simbolico) che, da sempre, è oggetto di scambio tra persone che condividono spazi e relazioni di vicinato. Così, come nei paesi e nei rioni dove forni di comunità o familiari rappresentavano uno dei poli della vita comunitaria, le cucine degli appartamenti, come si fa con il lievito madre, “rinfrescano” reti e relazioni. Chiedere informazioni e tecniche alla mamma o alla nonna rimanda all’origine del pane e riallaccia i fili della memoria domestica dell’infanzia e, di pari passo, contribuisce alla costruzione di nuove memorie con chi si condivide la quarantena. Così la condivisione virtuale (in alcuni casi reale, con pane lasciato sulle porte per i vicini) del risultato della panificazione (così come di pizze e dolci), oltre a mostrare un “saper fare”, permette a tanti ingredienti sparsi di impastarsi, creare relazioni e reazioni chimiche, sentirsi vicini accanto a una forma, senza poterne sentire profumo e gusto. Sperando che pane non racconterà l’epidemia anche per le rivolte ma solo per il ritrovarsi.

- Simone Valitutto