Paesaggio
Al mattino apro la finestra, per aerare la camera da letto. Entra il silenzio, al massimo l’abbaio di un cane da passeggio, il motore di una sola macchina alla volta, la pioggia quando piove.
Qui dove abito a Roma, tra villa Ada e corso Trieste, ogni giorno ormai aspetto la notte fonda per sentirlo arrivare: il camion che raccoglie l’immondizia. Lo stridio dei freni, il braccio meccanico che si solleva, il lieve tonfo del cassonetto svuotato che torna al suo posto. «Chi lo avrebbe mai detto», pensiamo ogni sera io – in apnea perché il mio fiato non si intrometta nella registrazione di quella sequenza di rumori – e l’autista del camion, che dopo le prime uscite ha deciso che ogni tanto la mascherina può pure abbassarsela sul collo. Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto.
Ho letto che invece lassù, al nord, il sottofondo è quello delle sirene delle ambulanze.
Campane che suonano non ce ne sono più, da nessuna parte.
Sta cambiando il paesaggio. Quello che di norma si osserva, ma che in quarantena si ascolta.