Ozio
“Non oziare!”, rimproveravano i nostri genitori, intendendo non perdere tempo. Un tempo produttivo, che la tecnologia oggi ha dilatato, riempiendo nei giorni pandemici ogni interstizio. Qualcuno lo ha chiamato pure Lavoro Agile, quando stando ai ritmi e alle posture, di agile ha ben poco. E quindi, Ode all’Ozio.
Aristotele, nel suo trattato sulla Politica, raccomandava: “La guerra deve essere in vista della pace, l’attività in vista dell’ozio, le cose necessarie e utili in vista di quelle belle…”.
La pratica dell’ozio richiede libertà come consapevolezza. Nell’antichità non c’era troppa distinzione tra studio, lavoro e tempo libero.
Se il lavoro è impegno, l’ozio è un’arte. Nutre la creatività, perché la nostra mente, per produrre idee, ha bisogno di momenti sereni capaci di cullarle e di lentezza per valutarle. Perfino Dio, terminata la sua creazione, il settimo giorno si riposò.
L’ozio ci consente di coltivare la memoria e la dolcezza del ricordo, di alimentare i nostri sogni, che sono la dimensione dell’immaginario individuale.
L’ozio ci libera dalla tirannia della precisione, dall’inseguimento del Chrónos, quello dell’orologio di Metropolis, del dovere e delle scadenze, e ci rifugia nel più confortevole Kairòs, il tempo propizio, quello delle opportunità. È sovversivo e, nello stesso tempo ci placa e rifocilla. Ci vuole, quindi, una certa saggezza a esplorare l’ozio. E se l’ozio vuole dire stare in pace, quello è il punto più vicino alla comprensione della felicità.