OvestLab
Dall’ufficio al primo piano di OvestLab si vede uno squarcio del Villaggio Artigiano di Modena Ovest, con le strade senza marciapiedi e le case-officine con i cortili di cemento assolati. Contemplo questo paesaggio sconnesso e mi chiedo perché mai io abbia deciso di dedicare una parte della mia vita a un luogo così. Per fortuna un immenso acero negundo, sopravvissuto chissà come all’asfalto e alle fonderie, si staglia di fronte all’ingresso e qualche volta mi ospita sotto la sua ombra per una telefonata particolarmente lunga. Ma il posto che preferisco a OvestLab è il piccolo cortile sul retro, dove raramente andiamo perché vi si accede solo passando dal magazzino. Lì la vegetazione prende il sopravvento, rami ed erbe matte crescono senza posa. Un rudimentale cancello accede al vecchio tracciato ferroviario dismesso. Mi arrampico sopra alla massicciata, tra ortiche e pietre, e finalmente lo sguardo si apre, il corpo respira. Le officine mi mostrano la schiena una dopo l’altra per centinaia di metri, alcune stoccano sul retro alti bidoni di latta blu. D’estate grosse zucche selvatiche nascono tra i sassi. C’è silenzio, a parte il compressore della falegnameria che si accende ogni tanto e le auto distanti sul cavalcavia. Camminando sempre dritto potrei arrivare lontano.