Opera
Nella nuova condizione di isolamento che tutti stiamo vivendo a causa dell’emergenza, Man mano che il brusìo e il rumore bianco delle inaugurazioni/mostre/presentazioni/conversazioni si posano, si placano, che cosa in effetti resta? L’opera, forse. L’opera d’arte ha appena iniziato – come tutto il resto – a trasformarsi e a evolvere: da oggetto di consumo e di lusso tutto sommato separato rispetto alla nostra vita, a elemento integrante di questa stessa vita.
Non solo esperienza e consumo non coincidono, non sono la stessa cosa (come forse per un lungo periodo ci siamo abituati a credere), ma rappresentano dimensioni lontanissime, incommensurabili. L’opera d’arte ha l’occasione di diventare pienamente ciò che negli ultimi anni, e decenni, ha tentato spesso di essere: un’infrastruttura di relazioni. E di costruire una forma nuova di intimità con un essere umano che non è più “spettatore”, con una comunità che non è più “pubblico”. Mentre vengono messe in discussione dimensioni considerate fino a poco tempo fa quasi indiscutibili come la velocità di fruizione, la percezione distratta, la predisposizione all’intrattenimento e alla spettacolarizzazione, le opere e i loro autori sono sollecitati dunque da tutto ciò che sta accadendo a cambiare. Ma questa trasformazione non può che appoggiarsi a sua volta a un recupero altrettanto radicale della funzione trasformatrice dell’arte e della cultura, che è esattamente ciò che è stato svalutato, ridicolizzato e rimosso negli ultimi decenni: mai come in questo momento, forse, c’è bisogno di opere che funzionino come “modelli esistenziali”.