N.

Narrazione

‘Narrazione’ è parola che deriva da due antiche radici che rimandano al conoscere (ma anche, secondo alcuni, alla sfumatura di ‘accorgersi’) e all’agire.

E perché mai arretrare di millenni per ridefinire il futuro significato di una parola?

Perché usciamo da un tempo recente nel quale la parola ‘narrazione’ è stata in larga misura asservita alla pratica – anche raffinata, anche ben intenzionata – di spingere ad agire, nel marketing, nella socializzazione, nella politica. Spingere a comprare, a adottare status symbol, a votare. Manipolazione.

La narrazione può ora recuperare invece il proprio senso fondativo, epico, omerico, visionario: un ‘a priori’ della conoscenza e dell’azione, capace di innervare ad un tempo la conoscenza e l’azione stesse. Una narrazione creatrice di miti e portatrice di valori, non solo e sempre funzionale a uno scopo contingente. Una narrazione che recuperi l’elemento forte del esperienza pandemica, giustificata in ciò dal possedere quell’elemento già in se stessa, nella sua antica origine, in quella sfumatura della conoscenza che è il riflessivo ‘accorgersi’.

È servito trovarsi sull’orlo di un abisso per tornare a capire che un modo fondamentale di conoscere è appunto accorgersi, rendersi conto: capire quel che vale davvero. Quel che vale davvero la pena di raccontare.

Narrare vorrà dire ripetere, cantare, scrivere, filmare, raffigurare un senso riguadagnato della nostra esistenza individuale e comune, comune in quanto sostanziata da individui.

Non tanto e non solo comprendere per agire, dunque: ma agire perché abbiamo compreso, ci siamo accorti, di ciò che conta realmente. Narrare per orientare l’esistenza. Per ri-orientare le esistenze in asse con stelle polari che erano scomparse dal nostro cielo e ora stiamo tornando, balbettanti, a additare e conoscere. Se le narreremo, la lingua si scioglierà, e le sapremo ri-conoscere anche in futuro.

- Paolo ColomboUniversità Cattolica di Milano