Morte
La cosa peggiore di mettere al mondo un figlio è consegnare alla vita un morituro. La colpa dei padri, immensa, si riversa sui figli. Ma il seme della morte nei nostri figli è poca cosa senza l’angoscia a cui si abbeverano le sue radici. La paura della morte è l’eterna palude da cui traggono forza i governanti del mondo. Minacce di morte piegano i sudditi ai piedi del sovrano e minacce di dannazione a venire riconducono gli imputati da giudici in abito talare.
Addomesticare la morte è impresa impossibile – cosa possono gli umani contro gli Dei? – ma bonificarne le paludi è semplice impresa da eroi. Come Eracle con l’Idra, il cui alito avvelenava intere contrade, tagliare le teste con cui la morte si rivela è opera vana se non si procedere a cauterizzarne le ferite. Contro la morte può soltanto il fuoco della metafisica: modificare la nostra idea di mondo, così che al cuore di ogni esistente e di ogni morituro risplendano molte più dimensioni di quelle che sono racchiuse nelle maglie del tempo. Dimensioni sempre-già eterne, sempre-già salvate. Muovere la visione della fine del tempo dagli scranni di tribunale dell’Apocalisse, al carnevale infinito dell’Apocatastasi.
A noi genitori resta la colpa di aver consegnato nuove carni alla morte; ma col trucco di Prometeo possiamo ancora rovinarle il pasto, riempiendole il piatto di ossa e pelle vuota.