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Lutto

Chi porta abiti bianchi, chi neri. Chi costruisce tombe, piramidi o pire.  Chi urla lamentazioni, si strappa i capelli, si batte il petto, e chi cerca semplicemente una spalla su cui piangere. Paese che vai, lutto che trovi. Ma tutti accomunati da una qualche forma di socialità del lutto.

Adesso, nel tempo del Coronavirus, si impara a fare a meno dell’ultimo saluto. Ci si domanda a cosa serva vestirsi di un certo colore quando non si esce di casa. Si capisce l’inutilità della frase “una spalla su cui piangere” se la spalla e’ a 1mt50 di distanza. Si muore fisicamente da soli e si porta il lutto fisicamente da soli.

Ricreare spazi di lutto virtuali diventa un bisogno pressante. Ma gli abbracci per Whatsapp valgono qualcosa? La voce che si rompe di pianto al telefono, o il silenzio delle lacrime incessanti, sono consolabili? 

Alla fine di tutto riconquisteremo gli spazi fisici del lutto, tra i tanti altri spazi. Forse, indipendentemente dalla religione, riscopriremo i cimiteri, e l’importanza dei funerali. Ricercheremo la condivisione di un’esperienza di morte perché ci ricorda invariabilmente quanto preziosi siamo gli uni per gli altri. 

- Giulia Pastorella