Lavoro
Abbiamo, ormai alle spalle, la lunga stagione del modello produttivo ford-taylorista caratterizzato dalla grande azienda, dalla produzione in serie e dal lavoro standardizzato e anche quella del suo stesso superamento. Abituati all’idea del cambiamento vorticoso e continuo, con un po’ di apprensione, aspettavamo addirittura l’avvento della intelligenza artificiale. Ci stavamo misurando con i nuovi orizzonti definiti dal web, dalla digitalizzazione dell’economia, dalla robotizzazione del ciclo produttivo, dal telelavoro e dallo smart work, per addentrarci, appunto, fino alle terre estreme dell’intelligenza artificiale, quando ha fatto la sua irruzione la pandemia da Coronavirus. Questo evento, inaspettato e crudele, sta accelerando e rendendo immediatamente visibile la necessità di un nuovo e rapido cambiamento. Ci obbliga a dilatare il campo della nostra osservazione perché la cosiddetta “Fase 2”, che dovrebbe essere caratterizzata da una (graduale?) riapertura delle attività, richiede una nuova “ingegnerizzazione” del modello produttivo, dall’impresa individuale all’azienda multinazionale. Molti nuovi interrogativi emergeranno: dal ruolo dello Stato nell’economia, alla divisione internazionale del lavoro, al senso di una globalizzazione senza regole, al reshoring di alcune produzione rilevatesi essenziali come, ad esempio, le mascherine, fino alla revisione delle regole che caratterizzeranno le attività nei luoghi di lavoro. Cambierà, dunque, la nozione di lavoro e il suo profilo: lavoro distanziato e a distanza, lavoro a risultato e non ritmato. L’importante, come sempre, è che sia continuativo e dignitoso.