Italia
Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno a proposito di come cambierà il tuo nome dopo, posso dire come suona nel mio qui ed ora d’italiana residente all’estero. Qui, da un mese, l’effetto che produce è Paura. Ora, la Francia dice che il tempo dell’epidemia dista 10 giorni dall’Italia. E la distanza sembra accorciarsi a misura dell’assomigliarsi delle curve epidemiologiche. Ma a inizio marzo, quando chi arrivava dai clusters italiani andava in quarantena, la distanza era pari al tempo infinito che, come s’era creduto in Italia, separava il virus dall’Occidente ricco e sviluppato. Non passerà la muraglia cinese ! Le Alpi ! Non ora non qui ! Io, in un tempo fuori luogo, in sincronia coi bollettini della Protezione civile ma in una città spensierata, non so cosa avrei dato perché i francesi vedessero come me, o per essere confinata come gli italiani oltre-confine.
Italia mia, al mondo non è servito chiudere occhi e frontiere, evocare, a mo’ di scongiuro, antichi effetti del tuo nome (pizza, inefficenza…). Il suo nuovo effetto costringe ormai tutti a contare il numero dei tuoi morti e a fare i conti con quello, miserevole, dei letti di rianimazione nell’Occidente ricco e sviluppato. Italia laboratorio del crash test della nostra inciviltà neoliberale. Il virus ne sarà il rivelatore, l’accusatore dell’oblio del prezzo della vita e della morte.
Ma possa, dopo la paura per la vita e per la morte, insegnarci a dare un senso nuovo al tuo nome, Italia. La tua ricostruzione potrebbe anche cominciare da lì.