Invisibile
Si dice che l’olfatto e il gusto siano i primi sensi compromessi dal virus, come se il suo insinuarsi nell’organismo spegnesse i veicoli del piacere con cui ci nutriamo del mondo e lo rendiamo parte del nostro corpo. Ma anche il tatto è compromesso, per decreto: il distanziamento sociale impone l’escissione di ogni legame fisico, la regressione allo stato di monadi virtuali, quando la pelle intera diventa il terreno del contagio. L’udito sembrerebbe essere stato risparmiato dalla lotta intestina tra agente patogeno e strumenti di disperato contrasto. Ma non è così: anch’esso vaga incerto, nel tentativo di sintonizzarsi tra gli estremi dell’addensarsi di parole, discorsi istituzionali, flussi informativi ininterrotti, e il silenzio surreale delle strade, delle piazze, delle case. Resterebbe, allora, la vista. Invece, è la più sofferente, tra le competenze umane. Perché il nemico dilagante si deduce da immagini strappate agli incubi: file di bare trasportate nella notte, per essere tumulate in solitudine; medici dal volto scavato dalle mascherine più autentiche dei visi, di questi tempi; lunghe file mute, scandite dal numero di ingresso contingentato, davanti agli unici market aperti. Non lo si può vedere in faccia, e riconoscerlo da pari a pari. Si sottrae all’esperienza percettiva,, e per questo alimenta le rappresentazioni immaginarie più temibili, quando si vaga nell’inconscio delle proprie paure. È invisibile.