Empatia
Empatia, in senso lato: la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona. Etimologicamente: dentro il suo sentire.
Confinati nelle quattro mura domestiche siamo empatici, siamo tutti accomunati da una condizione, e ci ritroviamo a convivere con un animale strano, noi stessi. Senza quel rombare di ansie e stimoli, avvolti nel silenzio che ci creiamo da soli, diventa spontaneo sentirsi di più: su skype, whatsapp, hangout, dirette instagram o con vecchi telefoni in bachelite. Mio padre ha scoperto i video virali, mia madre ascolta Bob Dylan e guarda Netflix, condividendo le mie passioni. Abbiamo tutti qualcosa in comune, qualcosa di cui per una volta non ci vergogniamo dialogando con l’altro. La nostra capacità di immedesimazione fa continuamente palestra con il vicino che urla al terrazzo, con il cantante pop che non può fare più il concerto, i fisioterapisti che dispensano lezioni su zoom, i poeti che si affacciano alla finestra e trovano strade vuote.
L’empatia è anche la bellissima capacità estetica di percezione del luogo attraverso la pelle e gli istinti: è il sabato del villaggio, la presenza di Lenore ne il corvo, il senso di disagio di fronte alla rovina e all’abbandono, le luci di natale e il profumo del mare. Questa parola collega con un doppio nodo architettura e essere umano, il senso di appartenenza ad uno spazio, ad un bene comune, e la capacità di farlo proprio e di tutti, eliminando i confini disegnati dalla solitudine, con il continuo esercizio dell’empatia.