Distanza
“Restate a distanza e rispettate la distanza”. Da schermi e megafoni, risuonano queste espressioni.
Distanza è ormai la parola più ascoltata e cliccata, insieme a casa. E l’idea che più ci lega è credere che essa ci salverà, e paradossalmente anche la solitudine.
Prima di trenta giorni fa, la distanza era solo una misura, a tratti anche banale, tra oggetti, edifici, luoghi; tanto bella perché rapidamente misurabile e tanto emozionante perché facilmente percorribile. Era chiaramente un vuoto così semplice da rendere pieno, perché abitato e vissuto con mezzi e strumenti ormai ovvi di quest’epoca. La distanza era incondizionatamente controllabile da noi e dai mille volti dello spazio.
Dopo più di trenta giorni, la distanza è un vuoto incontrollato e incontrollabile. È il limite invalicabile dei luoghi attuali. È la misura che si riempie dei quieti passi da una stanza a un’altra, da una casa a un supermercato. È lo spazio maggiormente vissuto dai nostri silenzi, invisibile nell’aria ma visibile nel tempo, e guida i nostri comportamenti, gestisce un abitare reale e virtuale.
È allora evidente questa forma di peste contemporanea in cui ci sentiamo uniti nel paradossale vuoto della distanza. Probabilmente sarà così ancora per molto. Faremo fatica a ritornare protagonisti dei luoghi vissuti, ma vivremo con il desiderio di ritornare a convivere in una giusta distanza dove vige solo il rispetto, ma non l’inquietudine.