Diffidenza
Diffidenza: sentimento di universale estraneità e sospetto verso il prossimo al supermercato.
Le distanze mantenute si ammantano di sicurezza, si regolarizzano, si fanno decreto e istituzione, e la diffidenza, elevata a responsabilità, ci rende civili, consapevoli, adeguati. Noi, i bravi cittadini, gli altri, gli untori potenziali. L’inferno sono gli altri, diceva Sartre. Gli altri chiassosi, ingombranti, maleducati, bollenti di febbre, sudaticci, malati asintomatici. E noi, bravi cittadini, terrorizzati dal loro fiato, ci affidiamo alla prudenza, convinti che ci ripari da quella tosse secca, dalle unghie sporche, dalla voce stridula della signora senza mascherina. Schifati dalle maniglie che hanno toccato, dal carrello che hanno spinto, dai piselli surgelati che hanno preso in mano e riposto nel banco frigo un attimo dopo, noi bravi cittadini non siamo mai stati così vigili. Gli altri invece ci molestano con quel loro sguardo fisso, spudorato, che non smette di giudicarci. Eppure sempre noi, cittadini rispettabili, non ci riconosciamo più, e questo è il nostro inferno privato: l’angoscia della diffidenza provata e subita che ci rende monadi infette o infettabili, lupi e agnelli, pericolosi e vulnerabili allo stesso tempo. Non lo sappiamo mica se tutto questo finirà, una volta che il morbo se ne sarà tornato da dove è venuto, o se quella diffidenza ormai ce la porteremo addosso come un paio di lenti a contatto.