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Demolizione

Demolire non è sempre una parola amichevole, a me piace usarla però nel senso di togliere di mezzo per fare spazio ad una possibilità nuovaÈ quello a cui siamo chiamati da questo presente di pandemia? Quando vado in una città il mio sguardo va subito dove manca armonia, di fronte al brutto urbano, civile, umano, sento sempre un fastidio, come se il brutto si riverberasse nel corpo; mi dà un senso di smarrimento che alle prime non so decifrare. So che viene anche dall’educazione allo sguardo che devo a mio padre architetto. In prima persona non posso demolire il brutto nelle città, ma posso auspicare la demolizione delle barriere mentali, quelle grette e buie delle prese di posizione, a partire dalle mie.  Se dico DEMOLIZIONE, penso a un campo vuoto, quello a partire dal quale si può ricominciare nonostante il passato. Il passato ci ha dato il bel viaggio, ci ha consegnato una possibilità, ma se essa non è più conducente, ispirante, costruttiva, va buttata giù. Non sarà cancellata, sarà piuttosto superata. Non sempre per superare si deve ricostruire o riaggiustare, a volte serve il coraggio di togliere di mezzo, serve l’ardire e l’ardore di una nuova scelta, e anche di uno spazio vuoto che resti vuoto per un po’ prima di dare voce ad una nuova bellezza. Lo spazio vuoto che genera, come quello che c’è nelle mani giunte di un seme. Facile? No, più facile demolire un palazzo che demolire una convinzione.

- Silvana KuhtzPoesiaInAzioneUniversità della Basilicata