Confine
Ora che siamo “confinati” quanto ci brucia non poter varcare “la porta”. Eppure da sempre ci rifugiamo nella parola confine con una certa superbia, la convinzione che possa “proteggerci da qualcosa” o “da qualcuno”, senza nemmeno fermarci a pensare che potrebbe esserci di più.
La maggior parte delle volte ci siamo rintanati su questo termine, sfruttandolo per i nostri usi nazionalisti. Definendo come nemico o virus, colui che tentava di “invadere i nostri confini”.
Ben venga la cosiddetta contaminazione, anche se in maniera minima può contenere un virus. Siamo tutti di passaggio. Ma ricordiamoci, chi ha visto il mondo probabilmente avrà detto di aver vissuto, noi, al massimo, di averlo immaginato. Questo è il nostro prezzo?
Nel tentativo vano di riprendere il controllo, ci forzeremo ad uscire con guanti, mascherine e altre suppellettili che dovrebbero prevenire la nostra salute fisica.
Non sarà possibile vedere i volti nella loro interezza, si perderà l’uso delle nostre espressioni facciali e, soprattutto, ci priveremo di uno sguardo dalla dolcezza infinita e molteplice: i sorrisi.
Il calore dei corpi, l’ebbrezza del respiro freddo sulla pelle dell’altro, l’emozione di guardarsi negli occhi, di sfiorarsi e perché no, di fondersi e confondersi l’un l’altro verrà meno in nome di una paura più grande o rimarrà intatto, così come l’abbiamo conosciuto?
Il confine ora è ciò che abita in noi, e segna la distanza delle nostre più profonde capacità: razionalità e irrazionalità.
Riusciremo ad oltrepassarlo in favore di una o dell’altra?
Quale prevarrà?