Coltivare
Da “cultus”(colĕre), culto.
Durante la pandemia abbiamo coltivato le nostre passioni, la solidarietà e l’attesa. Ma il lockdown ha anche rimarcato le mancanze e la disparità sociale. Nel condividere i momenti in cucina che ci hanno accomunato, il principio, vivo nell’inconscio collettivo, di una profonda connessione tra gli uomini e tra l’essere umano e la Terra, si è manifestato. Il benessere non si misura solo con la ricchezza economica, ma anche con quella di tempo e con la possibilità di accesso ai servizi. Oligarchie nazionali e multinazionali sfruttano il pianeta, e i prodotti agricoli sono esportati e non al consumati localmente. Oggi, quando ciò che mangiamo sappiamo essere importato dall’Europa o addirittura dal Canada come per i cereali, pensiamo ai lavoratori invisibili, percepiamo il valore del cibo e delle garanzie di qualità e sicurezza necessarie. La pandemia ha accesso un allarme globale, dobbiamo ripartire dalle fondamenta, dal nostro Bene Comune, immaginando l’agricoltura e la società del futuro. Il “non volere ritornare al prima perché era il problema”, ha un’eco escatologica, che riflette la convinzione che i modelli attuali siano imperfetti e saranno sostituiti da uno sinergico e circolare, è il momento di cogliere l’occasione. Abbiamo un debito così ovvio con Madre Terra, che purtroppo nemmeno ci pensiamo, ripartiamo dalla cura del nostro quartiere, coltiviamo ovunque: le piante trasformano un gas velenoso in prezioso ossigeno, reagiscono agli stimoli e hanno memoria, ogni zolla respira e ogni seme è Vita, ripartiamo dalla cura, dal culto della nostra Madre Comune.