Avanti
Undici anni fa il terremoto a L’Aquila, il primo grande dramma italiano che mi abbia toccato direttamente. Avevo ventun anni, e ho imparato ad andare avanti. Avevo perso una delle persone a cui tenevo di più; ancora oggi pensarlo morto mi sembra un paradosso, perché lui era l’immagine stessa della vita, della vitalità, della giovinezza. Eppure la mente umana ha questa strana capacità di andare avanti. Se ripenso a quei giorni, non mi sembra di pensare a me stessa, ma a qualcun altro. Tutto quello che vivevo erano parole e immagini di qualcun altro, come se il mio cervello fosse anestetizzato. E così sono andata avanti, sentendomi un po’ in colpa, ma avanti. Tutta l’Italia è andata avanti, fra polemiche e proteste. Polemiche per la ricostruzione che tardava troppo, proteste contro gli speculatori. Avanti. Altri terremoti, altre tragedie. Avanti.
Oggi, quello che è accaduto a me undici anni fa sta accadendo alle persone del nord, tutti i giorni, per giorni e da giorni. Eppure dobbiamo andare avanti. La gente qui a Roma va avanti come se nulla fosse – i runners, gli smartworkers, la didattica a distanza. Guardiamo avanti, guardiamo al futuro: le scuole riapriranno a maggio? Gli esami universitari, gli esami d maturità? Le ferie estive per quest’anno sono saltate, ci sarà una recessione economica? La città si è riempita di striscioni: “andrà tutto bene”, dicono, come se “bene” in queste circostanze potesse davvero significare qualcosa. Ma non si può andare bene o male. Si può andare solo avanti.