Rinuncia
Da piccoli ascoltavamo frasi come “se non fai i compiti, non vai al parco”. Siamo stati educati al pensiero di un’ipotetica rinuncia, e all’esistenza delle opportunità.
Anche se si può ciò che si vuole, si sceglie di rinunciare perchè è una delle più facili azioni umane. Si sceglie di rinunciare al luogo di infanzia, ad un lavoro, ad un grande amore e molto altro; sentendoci preparati, allenati, pronti a qualsiasi rinuncia.
Oggi si chiede ai bambini di rinunciare ai giochi al parco, anche se non fanno i compiti. Si chiede agli anziani di rinunciare al tempo trascorso nel solito bar. Si chiede ai ragazzi di rinunciare al classico appuntamento al cinema con gli amici. Si chiede agli adulti di rinunciare alle domeniche al museo. Si chiede agli innamorati di rinunciare al “vienimi a prendere e portami dove vuoi”.
Questi luoghi sono ormai memori di rinunce imposte, quelle che non si scelgono e non si dimenticano. Sono lasciati al silenzio e all’attesa di un ritorno. Sono limiti obbligati, recinti di contagio. Sono oggetto di discussione per nuovi spazi, architetture, città e collettività, ma per molto saranno solo i testimoni delle nostre paure.
Di certo non sapremo ora se i luoghi di rinuncia si trasformeranno in utili pianificazioni, o saranno solo i protagonisti dell’ultimo atto di egocentrismo compositivo. Intanto, scegliere di rinunciare non è poi così saggio e sano. Induce all’abbandono, alla perdita, alla frustrazione, quando poi basterebbe soltanto avere un po’ più di cura per cose, persone e luoghi che abbiamo e amiamo.