Lingua
Nel marzo 2020, l’Italia ha sospeso gli accordi di Schengen, in Europa sono chiuse le frontiere, nel mondo è entrato un nuovo spaesamento, l’universo è tornato misterioso.
Il tempo sociale ha generato un percetto fatto dalla simbiosi tra cronaca e storia.
Sporti sull’ignoto, si considera l’indicibile; l’inadeguatezza della lingua, incapace di dire e fare il volto nuovo del mondo, le sue fattezze, in un’alba e in un tramonto esatti.
Si tentano alfabeti, lessici, vocabolari; nel farlo, ci si ricorda che nel suo e nel nostro vacillare, la lingua è già da sempre, sia patria, sia esilio. Sia vascello, sia tempesta. Sia viaggio, sia paesaggio.
Si traccia la linea del “prima” e del “dopo” e l’ “adesso” diventa il posto di un’epoca.
Questa epoca produce e disperde, a flussi, rinnovamento e conservazione.
Le emozioni, le percezioni, le credenze, i valori, le inclinazioni, le prospettive, costituiscono una cifra elastica, mobile, più-che-sospesa. Alla lingua si consegna il compito – finanche come spartito d’ansia e suo riparo – di dire e fare una metamorfosi; la lingua si desidera futura ma non dismette il suo conio antico, l’etimo.
Questo “adesso” che è un’epoca che è elastica e mobile, avverte che la vita umana come la sua lingua, è un precipitato d’attimi nel tempo e che in questo è la sostanza della parola “eterno”. Avverte che il calendario e il vocabolario, sono e non. Avverte che l’etimo può molto ma non può tutto e che occorre ricomprendere il cip-cip, il fiuuu, la frequenza, l’onomatopea, l’abracadabra. Avverte che Lingua è ciò che inVoca e inCanta.