Infanzia
Grande dimora il linguaggio, che dispone per l’infanzia – opposto biologico della vecchiaia – un “in” privativo nel verbo “fàri”: affermare, dire solennemente, profetizzare. Il prefisso in indica la negazione: chi non è in grado di parlare è appunto in-fans o in-fante; tuttavia conserva – quel “in”- anche il valore di luogo, la preposizione del “dentro”.
L’in-fanzia allora è sì la condizione della mancanza di parola, ma è anche il luogo in cui il dire è contenuto, come suono e voce.
Nel tempo del coronavirus, la mancanza (e l’attesa) di parola si è rispecchiata nel dentro. Gli adulti hanno compiuto il periplo della propria infanzia. I bambini hanno osservato la gravità delle cose impossibili.
Nella Repubblica di Chiaravalle dire «Infanzia» richiede l’aggiunta di un punto esclamativo, il sostantivo diventa interiezione tramite la quale «Infanzia!» non solo suggerisce, anzi esorta, a ripercorrere la balbuzie e l’apprendimento.